O L I O B A R O N E

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Museo

Quello che un tempo era il fervente luogo di tanto duro lavoro, sacrificio e sudore di uomini, oggi, il frantoio ipogeo Barone, rappresenta una valida testimonianza storica dell’industria olearia del passato, meta di appassionati dell’olio e delle tradizioni popolari del Salento. Si tratta di un frantoio risalente alla fine del ‘700, il cui utilizzo si è protratto con continuità sino agli anni ’40.

Anticamente i frantoi erano situati nel sottosuolo per diverse ragioni, tra le quali la più importante era la necessità del calore. L’olio, infatti, diventa solido verso i 6° C., pertanto, affinché la sua estrazione sia facilitata, è indispensabile che l’ambiente in cui avviene la spremitura delle olive sia tiepido. Il che poteva essere assicurato solo in un sotterraneo, riscaldato per di più dai grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali.
Accanto a questo, tuttavia, vanno considerati altri motivi, principalmente quello di ordine economico. Il costo della manodopera per ottenere un ambiente scavato era relativamente modesto perché non richiedeva l’opera edilizia di personale specializzato, ma solo forza di braccia, e non implicava spese di acquisto e di trasporto del materiale da costruzione. Il frantoio ipogeo, inoltre, presentava il vantaggio di permettere il rapido e diretto svuotamento dei sacchi di olive nelle cellette sottoposte, attraverso le aperture che avevano al centro della volta, facendo risparmiare, anche questa volta, tempo e manodopera.
Anche lo smaltimento degli ultimi residui della produzione olearia era agevolato dalla facilità con cui potevano trovarsi, data la natura carsica del sottosuolo, le profonde fenditure naturali che ingoiavano ogni traccia di quei rifiuti.

A partire dal XIX secolo i frantoi ipogei furono progressivamente dismessi per ragioni molteplici conseguenti soprattutto all’evoluzione industriale ed a più raffinati ed idonei processi di lavorazione , e vennero sostituiti gradualmente da frantoi in elevato.
L’ipogeo Barone fu ricavato all’epoca da ciò che rimaneva di una vecchia cava di tufi, sulla quale fu fatta poi poggiare la volta a botte.
Le cavità già esistenti nel carparo furono poi utilizzate per la disposizione dei torchi, avendo questi bisogno di un soffitto molto resistente per poter contrastare la loro forte spinta in alto nella fase di spremitura.
Pressoché intatta e funzionante è anche la macina di pietra per la molitura delle olive, alimentata da un rudimentale motore elettrico che ad un certo punto sostituì la trazione animale.

Particolarmente rilevante è la presenza di un “separatore per decantazione“, consistente in 6 vasche in muratura adiacenti e di grandezza decrescente, che serviva a separare l’olio dall’acqua di vegetazione, utilizzando il principio dei vasi comunicanti.
In questi ambienti, privi di luce diretta, i lavoratori scendevano ad ottobre e ne uscivano ad aprile, con la sola eccezione della festività dell’ Immacolata Concezione, anche perchè non poteva rimanere incustodito un luogo cosi’ importante. Infatti all’epoca un litro di olio equivaleva ad un mese di lavoro di un operaio.